Errata Diagnosi Di Crisi Ansiosa In Presenza Di Problemi Cardiaci E Risarcimento Danni

Attribuire sintomi cardiaci a una crisi ansiosa senza un’adeguata valutazione clinica può risultare estremamente pericoloso. In molti casi, pazienti che si recano in pronto soccorso con dolore toracico, palpitazioni, senso di oppressione o difficoltà respiratoria vengono liquidati con una diagnosi psicosomatica, quando in realtà sono in corso infarti, aritmie gravi, ischemie miocardiche o dissecazioni aortiche. Questo tipo di errore può comportare ritardi fatali nella diagnosi e nella terapia, con danni cardiaci irreversibili o morte improvvisa.

Il confine tra sintomatologia ansiosa e cardiologica è sottile, ma ciò non giustifica la sottovalutazione dei segnali di pericolo. Il medico ha il dovere di escludere ogni patologia organica con gli esami strumentali e clinici adeguati (ECG, troponina, ecocardio, esami del sangue), soprattutto quando il paziente presenta fattori di rischio come ipertensione, diabete, ipercolesterolemia, familiarità o età avanzata.

Quando una diagnosi superficiale di “crisi d’ansia” impedisce di riconoscere un evento cardiaco acuto, si configura una responsabilità sanitaria. Il paziente o i suoi familiari hanno diritto a ottenere il risarcimento per danni biologici, morali, patrimoniali e da perdita di chance terapeutica.

In questo articolo analizzeremo gli errori diagnostici più frequenti in ambito cardiologico, i segnali da non trascurare, le responsabilità del personale medico, le normative di riferimento aggiornate al 2025, i casi reali di risarcimento e le competenze degli Avvocati di Risarcimenti Danni Malasanità, specializzati nei casi di morte evitabile e ritardo diagnostico.

Ma andiamo ora ad approfondire con gli avvocati di Risarcimenti Danni Malasanità.

Quali sono i sintomi cardiaci scambiati per ansia?

  • Dolore toracico retrosternale o irradiato al braccio sinistro;
  • Palpitazioni improvvise e tachicardia;
  • Dispnea o affanno anche a riposo;
  • Sudorazione fredda, tremori, vertigini;
  • Nausea, senso di svenimento;
  • Agitazione psicomotoria con senso di morte imminente (che può mascherare un infarto).

Quali sono le cause più frequenti dell’errata diagnosi di crisi ansiosa in presenza di problemi cardiaci?

Ogni giorno, in pronto soccorso e negli ambulatori di medicina generale, si presentano pazienti che lamentano palpitazioni, senso di oppressione toracica, dispnea, sudorazione, tremori, paura intensa e una sensazione diffusa di malessere imminente. La diagnosi che spesso viene loro comunicata – soprattutto se sono giovani, donne o con precedenti di stress psicologico – è “crisi d’ansia” o “attacco di panico”. In molti casi è la diagnosi corretta. Ma non sempre lo è. Ci sono pazienti che tornano a casa con la prescrizione di una benzodiazepina, convinti che il problema sia tutto nella loro mente, mentre in realtà il loro cuore sta mandando segnali di allarme. Scambiare una condizione cardiaca potenzialmente grave per un disturbo psicosomatico è uno degli errori diagnostici più frequenti e sottovalutati della medicina moderna. E può costare moltissimo, in termini di tempo, salute e, talvolta, vita.

Il primo errore nasce da un bias cognitivo profondo, che si sviluppa già nella fase iniziale del contatto clinico: l’associazione automatica tra “ansia” e “soggetto giovane, ansioso, apparentemente sano”. Quando un paziente si presenta agitato, iperventilato, in lacrime, con un racconto confuso e carico di tensione emotiva, molti clinici – anche esperti – tendono a mettere da parte il sospetto organico per rifugiarsi in una diagnosi tranquillizzante. Il cuore viene ascoltato, sì, ma spesso in modo sbrigativo. Se l’ECG è nella norma, se la pressione è accettabile, se la saturazione è buona, il paziente viene rassicurato: è ansia, nulla di più. Ma la normalità degli esami di base non esclude patologie cardiache complesse, come aritmie parossistiche, dissezioni coronariche spontanee, pericarditi, tachicardie ventricolari, sindrome del QT lungo o anomalie microvascolari. Condizioni che possono sfuggire a un tracciato di pochi secondi o non lasciare tracce immediate negli esami standard.

Un errore molto comune è la sottovalutazione dei sintomi soggettivi quando non si accompagnano a evidenza oggettiva immediata. Il paziente dice di avere tachicardia, ma il tracciato è regolare. Dice di avere fitte toraciche, ma gli enzimi sono nella norma. Racconta un dolore che “va e viene”, non irradiato, non tipico. Se il medico non ascolta davvero, se si affida solo a numeri e referti, il rischio è quello di classificare tutto come disturbo somatoforme. Eppure, molti disturbi cardiaci si manifestano in modo intermittente, subdolo, o addirittura solo sotto sforzo o in situazioni specifiche di stress. Una tachicardia da sindrome di Wolff-Parkinson-White può non essere presente al momento della visita. Una coronaropatia microvascolare può non dare alterazioni significative all’ECG basale. Una miocardite può esordire con stanchezza, dispnea e tachicardia persistente, che viene erroneamente attribuita a uno stato ansioso.

C’è poi un errore legato alla mancanza di approfondimenti diagnostici nei pazienti giovani o senza fattori di rischio evidenti. L’idea che “se sei giovane, non puoi avere un problema cardiaco serio” è pericolosa. E purtroppo ancora molto radicata. Soprattutto nelle donne, nei soggetti in sovrappeso, o in chi ha una storia di disturbi emotivi pregressi, il dolore toracico viene quasi automaticamente catalogato come funzionale. Non si richiede un ecocardiogramma, non si prevede un monitoraggio Holter, non si programma un test da sforzo. La diagnosi psichiatrica prende il sopravvento, e così si perdono settimane, mesi, a volte anni, prima di scoprire una condizione cardiaca sottostante che nel frattempo progredisce. Non sono rari i casi di pazienti arrivati alla diagnosi di cardiomiopatia dilatativa, sindrome di Brugada o ischemia silente solo dopo ricoveri ripetuti e molteplici “attacchi di panico” mal interpretati.

L’errore si rafforza ogni volta che si prescrive una terapia ansiolitica senza una diagnosi chiara. La benzodiazepina “calma” il paziente, ma anche il medico. Si crea una falsa sicurezza, un senso di risoluzione che in realtà è solo sedazione temporanea. Se il sintomo si attenua, si conferma la diagnosi di ansia. Se ricompare, si aumenta la dose o si introduce un antidepressivo. Nessuno si chiede se ci sia qualcosa di più. Nessuno valuta se il farmaco stia mascherando un aritmia, un calo pressorio, una disfunzione ventricolare. La sedazione diventa un alibi diagnostico, e il paziente si trasforma in “ipocondriaco”. Il cuore continua a segnalare, ma nessuno lo ascolta davvero.

Una causa rilevante di errore è anche la frammentazione dell’assistenza tra medicina d’urgenza, medicina generale e psichiatria. Spesso, chi fa la prima diagnosi di “crisi d’ansia” non è poi lo stesso che segue il paziente nel tempo. Non c’è continuità, non c’è un confronto clinico, non c’è una revisione della diagnosi iniziale. Il paziente passa da uno specialista all’altro, da un ambulatorio all’altro, ripetendo ogni volta i suoi sintomi, ricevendo ogni volta conferme parziali o contraddittorie. A volte è proprio lo specialista cardiologo a dire “lei non ha niente al cuore”. Ma lo fa dopo un ecocardiogramma basale, senza test provocativi, senza valutazione integrata dei sintomi. Il paziente torna a casa più confuso di prima. Inizia a dubitare di sé stesso. O, peggio ancora, si convince che la colpa sia tutta sua.

Non meno pericolosa è l’assenza di strumenti diagnostici avanzati nei piccoli presidi territoriali, dove spesso si fa affidamento solo su ECG e pressione arteriosa. Una tachiaritmia parossistica può non essere rilevata. Una sindrome da QT lungo può non essere identificata senza un’anamnesi accurata e una lettura esperta. Una fibrillazione atriale ad alta frequenza può essere scambiata per tachicardia sinusale. In questi contesti, il medico è lasciato solo, senza supporto diagnostico. L’unica arma che ha è il giudizio clinico, e se non ha esperienza o sensibilità, l’errore è dietro l’angolo.

La componente psicologica, in tutto questo, gioca un doppio ruolo. Da un lato, l’ansia può davvero amplificare i sintomi di una condizione cardiaca reale, rendendoli più caotici, più intensi, più spaventosi. Dall’altro lato, l’etichetta di “ansioso” può far sì che qualsiasi nuovo sintomo venga ignorato, banalizzato, non approfondito. Il paziente ansioso rischia di diventare invisibile. Anche quando il suo cuore sta davvero chiedendo aiuto. Il confine tra disturbo psicosomatico e patologia organica non è sempre netto, e proprio per questo servono attenzione, ascolto, sospetto diagnostico e approfondimento. Non basta un ECG per escludere un problema cardiaco. Non basta un attacco di panico in anamnesi per evitare una visita cardiologica completa.

Dal punto di vista medico-legale, le conseguenze di una errata diagnosi di crisi ansiosa in presenza di una patologia cardiaca sono pesanti. I tribunali hanno più volte riconosciuto la responsabilità dei sanitari nei casi in cui il paziente, trattato per ansia, è poi deceduto o ha subito danni permanenti a causa di un infarto non diagnosticato, di un’aritmia non trattata o di una patologia congenita misconosciuta. L’errore non è nell’aver ipotizzato l’ansia, ma nell’aver escluso il cuore senza le dovute indagini. Nella mancata rivalutazione. Nell’assenza di follow-up. Nell’avere fatto troppo presto una diagnosi rassicurante e definitiva.

In conclusione, scambiare un cuore malato per una mente agitata è un errore che nasce dalla fretta, dal pregiudizio e dalla superficialità. Il paziente che lamenta palpitazioni, dolore toracico o affanno non chiede solo una diagnosi: chiede di essere ascoltato davvero. Chiede che il suo racconto venga preso sul serio. Chiede di non essere liquidato con una ricetta e un sorriso forzato. Ogni medico, ogni operatore sanitario, dovrebbe imparare a dubitare delle proprie certezze. A guardare oltre l’etichetta. A ricordarsi che non tutto ciò che sembra ansia è solo ansia. A volte, dietro il battito accelerato, c’è un cuore che sta lottando. E merita attenzione, prima che sia troppo tardi.

Quando si configura la responsabilità medica per errata diagnosi di crisi ansiosa in presenza di problemi cardiaci?

Nel contesto dell’emergenza medica, uno degli errori diagnostici più insidiosi è la sottovalutazione di sintomi cardiaci gravi e la loro attribuzione frettolosa a disturbi d’ansia. Questo accade con sorprendente frequenza, soprattutto nei pazienti giovani, nelle donne, nei soggetti con una storia di disturbi psicosomatici o in coloro che giungono ripetutamente in pronto soccorso per malesseri aspecifici. Tuttavia, la sovrapposizione sintomatologica tra una crisi d’ansia e una sindrome coronarica acuta può condurre a diagnosi sbagliate che mettono a rischio la vita del paziente. Quando il clinico attribuisce i sintomi alla sfera psicogena senza aver escluso con certezza le patologie organiche, in particolare quelle cardiovascolari, si configura un errore che può assumere rilevanza medico-legale.

I sintomi di una crisi ansiosa e di un evento cardiaco possono essere sorprendentemente simili: senso di costrizione toracica, palpitazioni, dispnea, sudorazione, vertigini, paura intensa, parestesie, astenia. Tuttavia, attribuire immediatamente tali sintomi all’ansia, soprattutto senza eseguire esami obiettivi minimi come l’ECG, gli enzimi cardiaci, o la saturazione dell’ossigeno, è una condotta clinica inappropriata. Non solo viola le linee guida sull’inquadramento del dolore toracico, ma compromette la sicurezza del paziente. Il rischio è quello di dimettere un soggetto che sta sviluppando un infarto miocardico, un’embolia polmonare o un’aritmia potenzialmente letale, mascherati da una presentazione clinica atipica.

Le donne, i giovani adulti e i pazienti con patologie psichiatriche pregresse sono spesso vittime di diagnosi psicogene non confermate. Numerose ricerche scientifiche dimostrano che le donne hanno una maggiore probabilità di ricevere diagnosi di ansia anche in presenza di infarti veri e propri, con ritardi diagnostici significativi rispetto ai coetanei maschi. In questi casi, il medico, basandosi su stereotipi o su impressioni soggettive, può decidere di non approfondire la sintomatologia, sottovalutando segnali cruciali.

Un altro errore frequente è il non eseguire un ECG di base al triage o non ripeterlo a distanza di tempo. L’ECG a 12 derivazioni, se correttamente interpretato, può rivelare ischemie, anomalie del ritmo o alterazioni dell’onda T anche in assenza di dolore tipico. Affidarsi solo al racconto del paziente, senza esami strumentali o ematochimici, rappresenta una violazione del principio di diligenza clinica. Se l’evento cardiaco viene ignorato e il paziente viene mandato a casa con una diagnosi di “disturbo d’ansia acuto”, la responsabilità è evidente in caso di successivo peggioramento o decesso.

La mancata misurazione degli enzimi cardiaci è un altro aspetto di rilievo. La troponina, in particolare, è un marcatore altamente sensibile e specifico per il danno miocardico. In pazienti con sintomi toracici, anche atipici, o con familiarità per patologie cardiovascolari, la sua assenza nel pannello diagnostico costituisce un’omissione. Se si dimostra, a posteriori, che un infarto miocardico era in corso e non è stato identificato perché l’esame non è stato prescritto, il medico è ritenuto responsabile per colpa diagnostica.

Il trattamento sintomatico in pronto soccorso con ansiolitici può temporaneamente mascherare i sintomi cardiaci. Somministrare benzodiazepine senza aver escluso un’origine organica del dolore toracico può indurre una falsa sicurezza clinica, soprattutto nei pazienti che sembrano migliorare dopo la terapia. Tuttavia, il miglioramento dei sintomi non equivale alla risoluzione della causa. Il medico ha l’obbligo di continuare gli accertamenti anche dopo una risposta apparente ai sedativi, al fine di escludere patologie gravi che potrebbero ripresentarsi in modo più acuto.

La documentazione clinica è un elemento fondamentale nella valutazione della responsabilità. Se la cartella clinica riporta sintomi vaghi, senza ECG, senza markers cardiaci, senza monitoraggio dei parametri vitali o senza motivazione scritta per la diagnosi di disturbo d’ansia, il medico non sarà in grado di dimostrare di aver agito secondo le linee guida. La responsabilità, in caso di successivo infarto o morte improvvisa, sarà quindi facilmente accertabile.

La giurisprudenza italiana ha riconosciuto, in più occasioni, la responsabilità del medico per errata attribuzione ad ansia di sintomi cardiaci. In particolare, numerose sentenze si sono concentrate su infarti miocardici non diagnosticati in pronto soccorso e su pazienti deceduti dopo essere stati rimandati a casa con una diagnosi generica di “crisi emotiva”. I giudici hanno più volte sottolineato che l’errore non è nell’aver considerato l’ansia tra le possibili cause, ma nell’averlo fatto escludendo le patologie organiche senza esami.

Il paziente ha diritto ad una diagnosi differenziale completa, soprattutto in presenza di sintomi che coinvolgono il torace, la respirazione e la funzione cardiaca. Il medico ha il dovere di escludere in prima istanza le cause potenzialmente letali prima di ricorrere a spiegazioni psicologiche. La medicina dell’emergenza si basa su un principio chiaro: escludere prima ciò che uccide. Solo dopo aver escluso infarto, aritmie, dissezione aortica o embolia polmonare, si può parlare di ansia.

La responsabilità medica può estendersi anche alla struttura sanitaria. Se il triage è stato effettuato con superficialità, se non sono disponibili ECG funzionanti, se i protocolli non prevedono controlli obbligatori per dolore toracico, se il personale è sottodimensionato, la responsabilità non è solo del singolo operatore ma anche dell’organizzazione che non ha garantito gli standard di sicurezza.

Prevenire questo tipo di errore significa cambiare il paradigma culturale della medicina d’urgenza. Non bisogna sottovalutare nessun sintomo toracico, nemmeno nei pazienti giovani, nei soggetti ansiosi o in chi ha precedenti psichiatrici. La normalità apparente dell’esame obiettivo non è mai sufficiente. Ogni paziente merita un’analisi rigorosa, e ogni dolore al petto merita un ECG.

In conclusione, la responsabilità medica per errata diagnosi di crisi ansiosa in presenza di problemi cardiaci si configura quando il clinico omette gli accertamenti necessari, ignora i segni di allarme, non esclude le cause organiche prima di attribuire i sintomi alla sfera psichica, o dimette il paziente senza un piano di follow-up. È una colpa che nasce dalla fretta, dalla sottovalutazione e dall’abitudine a classificare i sintomi senza indagarli davvero.

Ogni dolore toracico non indagato è un rischio ignorato. Ogni paziente rimandato a casa con un cuore in sofferenza è una vita messa in pericolo. Ogni diagnosi di ansia affrettata è una verità comoda che può diventare una tragedia. Perché in medicina, quello che sembra è meno importante di quello che è. E la vera responsabilità è guardare oltre il sintomo — per salvare la vita che lo porta.

Quali norme regolano il risarcimento?

  • Legge Gelli-Bianco (L. 24/2017) sulla responsabilità sanitaria;
  • Art. 2043 c.c., per fatto illecito e danno ingiusto;
  • Art. 2236 c.c., colpa medica in ambito tecnico;
  • Art. 589 e 590 c.p., lesioni o omicidio colposo per errore sanitario.

Quali risarcimenti sono stati riconosciuti in Italia?

  • Donna di 52 anni dimessa con diagnosi di crisi ansiosa: deceduta per infarto nelle 24 ore successive: risarcimento agli eredi di 1.700.000 euro;
  • Giovane con aritmia fatale non riconosciuta, inizialmente trattato con ansiolitici: risarcimento di 1.350.000 euro;
  • Paziente anziano non monitorato in PS dopo dolore toracico scambiato per ansia: risarcimento di 1.400.000 euro.

A chi rivolgersi per ottenere giustizia?

In caso di danni da errata diagnosi psichiatrica in presenza di patologie organiche gravi, è fondamentale rivolgersi a avvocati con competenze specialistiche in responsabilità medica per errore diagnostico cardiologico. Solo un team legale preparato può:

  • Verificare la correttezza dei protocolli clinici applicati;
  • Collaborare con cardiologi, internisti, medici legali ed esperti in emergenza;
  • Dimostrare il nesso tra diagnosi errata e danno biologico o decesso;
  • Gestire tutte le fasi del contenzioso civile e, nei casi gravi, penale;
  • Richiedere il giusto risarcimento per i danni fisici, morali e patrimoniali.

Gli Avvocati di Risarcimenti Danni Malasanità lavorano con esperti in medicina d’urgenza, cardiologia forense e diagnostica differenziale, offrendo una tutela rigorosa e fondata sulla verità clinica.

Etichettare un infarto come attacco d’ansia è un errore che può costare la vita. La giustizia serve a riconoscere questi torti e a proteggere chi ha subito un danno che poteva essere evitato con una corretta diagnosi.

Qui di seguito tutti i riferimenti del nostro Studio Legale specializzato in risarcimento danni da errori medici:

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