L’impianto di un pacemaker è un intervento salvavita indicato nei pazienti con aritmie gravi, blocchi atrioventricolari, bradicardie sintomatiche o pause cardiache pericolose. Se correttamente posizionato, il dispositivo consente di regolarizzare il battito cardiaco e prevenire svenimenti, insufficienza cardiaca o morte improvvisa.

Tuttavia, in alcuni casi, il pacemaker viene impiantato in modo scorretto, generando complicanze evitabili: elettrocateteri posizionati male, perforazione della parete cardiaca, dislocazione degli elettrodi, infezioni, errato settaggio del dispositivo o mancata attivazione delle funzioni salvavita. Se l’errore è causato da imperizia, imprudenza o negligenza medica, il paziente ha diritto a un risarcimento per malasanità.
Ma andiamo ora ad approfondire con gli avvocati di Risarcimenti Danni Malasanità.
Quali sono gli errori più comuni nell’impianto del pacemaker?
Il pacemaker è un dispositivo salvavita utilizzato per trattare i disturbi del ritmo cardiaco, in particolare le bradiaritmie. Il corretto posizionamento dell’elettrocatetere è fondamentale per garantire l’efficacia della stimolazione e per prevenire complicanze sia a breve che a lungo termine. Tuttavia, nonostante le tecniche di impianto siano sempre più sofisticate e sicure, gli errori di posizionamento del pacemaker possono ancora verificarsi, e quando non vengono riconosciuti tempestivamente da parte del medico, possono avere conseguenze cliniche importanti. Le cause del mancato riconoscimento sono molteplici e spaziano da aspetti tecnici a fattori cognitivi, interpretativi e organizzativi.
Una delle principali ragioni del mancato riconoscimento è l’assenza di sintomi evidenti nelle prime fasi post-impianto. Un paziente con pacemaker impiantato male può rimanere asintomatico se il dispositivo stimola comunque in modo intermittente, o se il ritmo cardiaco intrinseco è ancora sufficiente a garantire un flusso ematico efficace. In questi casi, la falsa percezione di un esito positivo dell’intervento porta il medico a non approfondire, anche in presenza di segnali strumentali subdoli.
Un’altra causa frequente è la mancata esecuzione o la lettura approssimativa della radiografia del torace post-impianto, che rappresenta uno dei principali strumenti per verificare il corretto posizionamento degli elettrocateteri. Un catetere atriale può essere mal posizionato in vena cava superiore, o un catetere ventricolare può finire nel seno coronarico, nel setto interatriale o addirittura nel ventricolo sinistro in caso di forame ovale pervio. Se il medico non ha confidenza con l’anatomia radiologica, l’errore può passare inosservato anche con un esame eseguito correttamente. Inoltre, in alcune strutture sanitarie la radiografia può essere sostituita da un referto standardizzato che non segnala la minima anomalia se non c’è una richiesta specifica.
Anche l’ECG post-impianto può essere interpretato erroneamente. In particolare, la morfologia dell’onda QRS durante la stimolazione ventricolare dovrebbe essere attentamente valutata per verificare che corrisponda al pattern atteso (di solito un QRS largo con morfologia da blocco di branca sinistra in caso di stimolazione dell’apice del ventricolo destro). Se invece si presenta un QRS stretto o con aspetto atipico, può indicare una stimolazione in sede anomala, come il setto interventricolare o il sistema venoso coronarico. Tuttavia, se il tracciato viene letto in modo superficiale o se la stimolazione è intermittente, la diagnosi di malposizionamento può essere completamente mancata.
Un’altra fonte di errore è il mancato utilizzo o l’interpretazione errata dei dati del controllo del dispositivo. I pacemaker moderni forniscono informazioni dettagliate sul funzionamento, l’impedenza del catetere, i threshold di stimolazione e la percentuale di pacing. Tuttavia, in alcuni contesti, il controllo viene delegato in modo automatico a tecnici o infermieri specializzati, e il medico curante non riceve un’analisi completa né si accorge dei parametri anomali. Un threshold molto elevato, un’impedenza fuori range o un pacing inefficace sono segnali tecnici di un problema che può riflettere un impianto errato, ma vengono ignorati se non integrati nella valutazione clinica.
Un altro ostacolo importante è l’errata attribuzione dei sintomi post-impianto a cause non correlate al pacemaker. Un paziente con astenia, dispnea, vertigini o sincope dopo l’impianto può essere in realtà vittima di un malfunzionamento da posizionamento errato. Tuttavia, se i sintomi sono lievi o se si presentano in modo intermittente, vengono facilmente attribuiti ad ansia, disadattamento al dispositivo, anemia o disidratazione. Il medico può rassicurare il paziente senza effettuare controlli specifici, basandosi sulla fiducia nell’atto tecnico già concluso.
In alcuni casi, la causa del malposizionamento è una migrazione tardiva dell’elettrocatetere, che si verifica giorni o settimane dopo l’impianto iniziale. In questi pazienti, il tracciato ECG può cambiare nel tempo, con perdita di cattura o modifiche del QRS, ma se non viene effettuato un monitoraggio clinico o strumentale regolare, l’evento può non essere riconosciuto. L’assenza di un follow-up ravvicinato post-impianto contribuisce in modo decisivo a questi ritardi.
Il contesto clinico complesso del paziente può ulteriormente confondere il quadro. In soggetti con malattie neurologiche, disautonomie, cardiopatie multiple o precedenti chirurgici toracici, la sintomatologia da stimolazione inappropriata può essere mascherata o considerata parte del decorso clinico. In questi casi, la malposizione di un elettrocatetere diventa una diagnosi che nessuno cerca.
Un altro limite significativo è la carenza di competenze specifiche nei contesti non specialistici. Nei piccoli ospedali, nelle RSA o nei contesti territoriali, i medici possono non avere accesso al programmatore del pacemaker o alle competenze per interpretarne i dati. In questi ambienti, il controllo viene rimandato fino alla visita ambulatoriale programmata, con conseguente ritardo nell’identificazione di qualsiasi anomalia. Se il paziente si lamenta prima di quel controllo, può non essere preso sul serio o addirittura indirizzato a visite generiche che non affrontano il problema.
Anche la sovrastima della sicurezza del procedimento interventistico gioca un ruolo importante. Il pacemaker viene spesso percepito come una procedura “standard”, con rischi minimi e risultati quasi sempre positivi. Questa convinzione può portare a una sottovalutazione sistematica dei segnali d’allarme. Il medico che parte da un’assunzione di successo tende a considerare improbabile ogni evento avverso. Questo bias cognitivo — chiamato “errore da ancoraggio” — può ritardare la diagnosi anche in presenza di segni oggettivi di malfunzionamento.
In alcuni casi, l’impianto errato riguarda la sede anatomica completamente sbagliata, come nel caso raro ma documentato di inserimento del catetere nel ventricolo sinistro tramite forame ovale pervio o difetto del setto interatriale. Queste situazioni, se non rilevate subito, possono causare ictus embolici o aritmie gravi, ma vengono diagnosticate solo dopo l’evento, quando ormai il danno è avvenuto. L’unico modo per prevenirle è una verifica accurata mediante imaging (eco transesofageo, TC cardiaca) in caso di qualsiasi dubbio.
Infine, la mancanza di collaborazione multidisciplinare può ostacolare il riconoscimento. Il cardiologo interventista, una volta completato l’impianto, può non essere coinvolto nei follow-up, e il medico di medicina generale o lo specialista che segue il paziente può non avere l’autorità o le conoscenze per sospettare una malposizione. Se il sistema non prevede un controllo precoce integrato tra cardiologo, tecnico e clinico, l’errore può non essere mai intercettato.
In conclusione, il mancato riconoscimento di un pacemaker impiantato male è il risultato di un insieme di elementi: sintomi atipici, interpretazioni frettolose, mancanza di follow-up strutturati, errori cognitivi, limiti strumentali e carenze organizzative. Un impianto che non viene controllato nel modo giusto è un impianto che può fallire nel silenzio. Ogni paziente con pacemaker merita un’attenzione sistematica, non solo tecnica ma clinica.
Ogni anomalia del tracciato, ogni sintomo nuovo, ogni dato fuori range nella programmazione deve essere interpretato come un potenziale segnale d’allarme. Ogni fiducia cieca nell’atto tecnico va temperata con la prudenza dell’osservazione clinica. Perché un elettrocatetere fuori sede non è solo un errore meccanico: è una minaccia che pulsa a ogni battito, e che solo chi sa ascoltare può davvero riconoscere in tempo.
Quali sono le conseguenze di un pacemaker impiantato male?
Un pacemaker impiantato in modo scorretto può causare:
- Sincope ricorrente, anche con traumi da caduta;
- Insufficienza cardiaca da stimolazione inefficace o dissincrona;
- Tachiaritmie indotte o non controllate;
- Perforazione cardiaca, con tamponamento e rischio di morte;
- Infezioni sistemiche, che richiedono l’espianto del dispositivo e terapia antibiotica endovenosa;
- Danni permanenti o decesso, in caso di mancata attivazione del pacing in situazioni critiche.
Quando si configura la responsabilità medica?
La responsabilità medica per pacemaker impiantato male si configura quando l’intervento viene eseguito con errori tecnici, in violazione dei protocolli di buona pratica, oppure quando si omettono i controlli post-operatori indispensabili a garantire il corretto funzionamento del dispositivo, provocando complicanze evitabili come dislocazione degli elettrodi, perforazione miocardica, aritmie iatrogene, shock da malfunzionamento o addirittura arresto cardiaco. L’impianto di pacemaker è una procedura diffusa e codificata, ma non esente da rischi: l’accuratezza tecnica e il monitoraggio post-intervento sono parte integrante del trattamento, e ogni negligenza può tradursi in conseguenze gravi o fatali. La tecnologia salva la vita solo se viene usata con rigore.
L’errore può avvenire in fase di posizionamento degli elettrocateteri. In particolare, l’errata collocazione di un elettrodo nel ventricolo sinistro anziché nel destro, o nel seno coronarico invece che nell’apice, può causare stimolazione inappropriata, asincronia, fibrillazione ventricolare o ischemia. Se l’operatore non verifica la corretta posizione mediante controllo fluoroscopico, elettrogramma e successiva radiografia del torace, la colpa si configura per imperizia tecnica. Anche un semplice malposizionamento atriale, se non corretto tempestivamente, può annullare l’efficacia del dispositivo o determinare un blocco di conduzione.
L’omissione del test di soglia di stimolazione e di sensing durante l’impianto rappresenta un altro profilo critico. Se il pacemaker viene attivato senza aver verificato l’efficacia della captazione e della trasmissione del segnale elettrico, e il paziente va incontro a sincope, bradicardia o peggioramento dell’aritmia di base, la responsabilità non è solo tecnica, ma organizzativa e procedurale.
Anche la gestione post-operatoria può essere gravemente carente. Il paziente con pacemaker deve essere sottoposto, entro le prime 24-48 ore, a una valutazione clinica completa, ECG, radiografia del torace ed eventualmente ecocardiogramma. Se questi controlli non vengono eseguiti o non sono interpretati correttamente, il dislocamento dell’elettrodo può passare inosservato fino alla comparsa dei primi sintomi, con rischio di tamponamento cardiaco, perforazione del setto o stimolazione diaframmatica inappropriata. Quando il dolore toracico, le palpitazioni o la perdita di coscienza vengono ignorati nel periodo post-impianto, la condotta omissiva è giuridicamente censurabile.
Un’altra responsabilità si verifica in caso di impianto su indicazione clinica non corretta. Se il paziente viene sottoposto a pacemaker per bradicardia sinusale reversibile, blocchi non documentati o disturbi transitori della conduzione, senza documentazione strumentale adeguata (Holter ECG, ECG da sforzo, studio elettrofisiologico), l’intervento stesso può configurare un danno ingiustificato. Il posizionamento di un dispositivo permanente richiede un’indicazione chiara e condivisa secondo le linee guida internazionali. In caso contrario, la responsabilità ricade su chi ha prescritto o eseguito l’impianto in assenza dei criteri clinici necessari.
La scelta del tipo di dispositivo e della modalità di stimolazione deve essere personalizzata. Impiantare un pacemaker monocamerale a un paziente con necessità di sincronizzazione atrio-ventricolare può risultare inefficace o addirittura dannoso. Se il paziente sviluppa cardiomiopatia da pacing, con riduzione della frazione di eiezione e sintomi da scompenso cardiaco, la responsabilità si estende alla fase pre-operatoria e alla selezione del dispositivo. L’errore non è solo nell’atto chirurgico, ma in tutto il processo decisionale clinico.
Anche i controlli periodici, eseguiti tramite telemetria o programmazione ambulatoriale, devono essere regolari e approfonditi. Se il dispositivo presenta segni precoci di malfunzionamento – batteria in esaurimento, aumento della soglia di stimolazione, aritmie indotte – ma il medico non modifica la programmazione o non pianifica la revisione, la mancata diagnosi precoce del problema può avere conseguenze gravissime. Il paziente con pacemaker non può essere lasciato solo: il monitoraggio è parte integrante della terapia.
I profili di responsabilità medico-legale emergono anche quando il paziente lamenta sintomi compatibili con disfunzione del pacemaker e le sue segnalazioni non vengono ascoltate. Se un soggetto con storia di blocco atrioventricolare torna a riferire vertigini, sincopi o sensazione di battito irregolare, e non viene eseguito un controllo immediato del dispositivo, il ritardo diagnostico può trasformarsi in un evento avverso acuto, perfettamente evitabile.
In ambito giuridico, la responsabilità si fonda sul nesso tra l’errore tecnico, la mancata sorveglianza o il difetto nella programmazione e il danno concreto riportato dal paziente. Non è necessario dimostrare che l’intervento sia stato eseguito in mala fede, ma che un altro medico, a parità di condizioni, avrebbe seguito un protocollo più adeguato, prevenendo la complicanza o correggendola prima che diventasse irreversibile.
Le consulenze tecniche valutano la documentazione dell’intervento, i tracciati ECG, la posizione degli elettrodi nei controlli post-operatori, i log dei dispositivi e la cronologia dei sintomi e dei controlli. Se emerge che il malfunzionamento o la malposizione era rilevabile già nei primi giorni, e che il paziente ha continuato a presentare sintomi ignorati, la colpa professionale è pienamente configurabile, sia per imperizia tecnica che per negligenza nel follow-up.
Il pacemaker è uno strumento salvavita, ma come ogni dispositivo medico può diventare fonte di danno se impiantato o gestito in modo scorretto. Quando il paziente subisce un danno perché il dispositivo era mal posizionato, mal programmato o mal controllato, non si tratta di sfortuna, ma di responsabilità. E in questi casi, la fiducia nel progresso scientifico viene tradita non dalla tecnologia, ma da chi non la sa usare come dovrebbe.
Quali sono le normative di riferimento?
- Legge Gelli-Bianco (Legge n. 24/2017), che disciplina la responsabilità sanitaria e il consenso informato;
- Art. 2043 Codice Civile, per danno ingiusto da fatto illecito;
- Art. 1218 e 1228 Codice Civile, sulla responsabilità contrattuale del medico e della struttura sanitaria;
- Art. 2236 Codice Civile, sulla colpa grave in attività specialistiche;
- Art. 589 e 590 Codice Penale, per lesioni o omicidio colposo da errore sanitario.
Quali sono gli esempi di risarcimento riconosciuto?
- Paziente con elettrodo dislocato mai riconosciuto, deceduto per arresto cardiaco in casa: risarcimento agli eredi di 1.400.000 euro;
- Perforazione cardiaca durante l’impianto con tamponamento non gestito correttamente: risarcimento di 1.100.000 euro;
- Errata programmazione del pacemaker che ha provocato bradicardia non trattata e sincope con trauma cranico: risarcimento di 950.000 euro;
- Infezione del pocket trascurata, con espianto e danni permanenti: risarcimento di 870.000 euro.
A chi rivolgersi per ottenere un risarcimento?
In caso di pacemaker impiantato male o malfunzionante, il paziente o i familiari devono:
- Rivolgersi a un avvocato esperto in malasanità cardiologica, con esperienza specifica in dispositivi impiantabili;
- Richiedere una perizia medico-legale tecnica, con supporto di cardiologi elettrofisiologi e medici legali;
- Raccogliere tutta la documentazione: referti operatori, programmazione del device, controlli post-impianto, referti ambulatoriali e cartella clinica;
- Valutare il nesso causale tra l’errore medico e il danno subito;
- Agire legalmente per ottenere il giusto risarcimento per danno biologico, morale, patrimoniale e da perdita di chance.
Gli Avvocati di Risarcimenti Danni Malasanità lavorano in sinergia con elettrofisiologi, medici legali e ingegneri biomedici, per offrire una tutela tecnica, solida e orientata al risultato.
Conclusione
Il pacemaker è un dispositivo salvavita che richiede precisione assoluta nell’impianto, nella programmazione e nei controlli successivi. Un errore in qualunque fase può costare la salute o la vita del paziente. Quando questo accade per colpa medica, la legge offre strumenti per ottenere giustizia e risarcimento.
Se sospetti che il tuo pacemaker sia stato impiantato male o che un tuo caro abbia subito gravi conseguenze da un errore, non restare nel dubbio: fai valere i tuoi diritti.
Qui di seguito tutti i riferimenti del nostro Studio Legale specializzato in risarcimento danni da errori medici: