Trasferimento Errato Del Paziente Tra Reparti E Risarcimento Danni

Il trasferimento del paziente da un reparto all’altro è una fase cruciale del percorso di cura all’interno delle strutture ospedaliere. Richiede comunicazione efficace, coordinamento preciso e registrazione accurata delle condizioni cliniche. Quando questa fase viene gestita con superficialità o disorganizzazione, le conseguenze possono essere gravi: errori terapeutici, ritardi diagnostici, peggioramento dello stato clinico e, nei casi più gravi, decesso del paziente.

Gli errori nei trasferimenti interni possono avvenire per comunicazioni incomplete, omissione di dati essenziali, errata assegnazione del reparto di destinazione o mancata presa in carico da parte del personale ricevente. Un paziente fragile, instabile o con bisogni specifici (monitoraggio intensivo, trattamenti urgenti) non può essere spostato senza adeguate valutazioni cliniche e preparazione del personale.

La legge riconosce il diritto del paziente a ricevere cure continuative e coerenti, e punisce le condotte sanitarie che, per negligenza o disorganizzazione, interrompono o compromettono la catena assistenziale. Il risarcimento può includere il danno biologico, la perdita patrimoniale, il danno da interruzione delle cure e il danno morale.

In questo articolo vedremo i principali errori legati al trasferimento tra reparti, le responsabilità mediche e organizzative, le normative di riferimento fino al 2025, esempi concreti di risarcimenti riconosciuti e le competenze degli Avvocati di Risarcimenti Danni Malasanità, con focus su continuità assistenziale e sicurezza ospedaliera.

Ma andiamo ora ad approfondire con gli avvocati di Risarcimenti Danni Malasanità.

Quali sono le cause più frequenti del trasferimento errato del paziente tra reparti?

Nel complesso mondo ospedaliero, dove ogni dettaglio può fare la differenza tra cura e rischio, il trasferimento del paziente da un reparto all’altro è uno dei momenti più delicati e sottovalutati. Si tratta di una fase cruciale della degenza, in cui il paziente passa da una responsabilità clinica a un’altra, da un team sanitario a un altro, da un contesto assistenziale a un diverso livello di cure. Eppure, proprio in questo passaggio, si concentrano numerosi errori che possono compromettere la sicurezza, la continuità delle cure, la diagnosi, e in alcuni casi persino la vita del paziente. Il trasferimento errato non è quasi mai frutto di un singolo sbaglio. È l’esito finale di una serie di disattenzioni, lacune organizzative, comunicazioni mancate e assunzioni sbagliate.

Una delle prime cause di trasferimento errato è la comunicazione incompleta tra il reparto di origine e quello di destinazione. In teoria, il passaggio di un paziente dovrebbe avvenire dopo una valutazione congiunta, la condivisione della diagnosi, dei parametri vitali, del trattamento in corso e dei bisogni clinico-assistenziali. Nella pratica, invece, questo scambio di informazioni è spesso ridotto a poche parole al telefono, a un modulo generico o, peggio ancora, a un foglio manoscritto consegnato frettolosamente. Così, il reparto che riceve il paziente può trovarsi impreparato di fronte a un quadro clinico più grave del previsto, a un paziente che necessita di monitoraggio continuo, di ossigenoterapia, di isolamento per infezione, o che assume farmaci salvavita che non erano stati segnalati.

Un altro errore frequente è l’invio del paziente in un reparto non idoneo al suo livello di intensità assistenziale. Capita spesso che, per esigenze di disponibilità di posti letto, un paziente venga trasferito in una struttura che non dispone della tecnologia, del personale o dell’esperienza necessaria. Un paziente instabile viene mandato in un reparto di medicina generale anziché in terapia subintensiva. Un paziente con problematiche psichiatriche viene trasferito in un reparto internistico non attrezzato. Un paziente appena operato viene affidato a un reparto senza sorveglianza H24. Queste scelte, spesso dettate dalla pressione del Pronto Soccorso o dalla gestione logistica dei flussi, trasformano i reparti in contenitori temporanei, dove l’assistenza diventa precaria, frammentata, e ad alto rischio di errore.

Il problema si aggrava quando la valutazione clinica del paziente prima del trasferimento è frettolosa o non aggiornata. Il quadro clinico può cambiare in poche ore: un’infezione si può aggravare, la saturazione può scendere, può comparire confusione mentale o instabilità emodinamica. Se il trasferimento avviene sulla base di un quadro clinico non più attuale, il reparto ricevente rischia di ritrovarsi un paziente in condizioni ben peggiori di quelle comunicate. E se il reparto non è in grado di intervenire prontamente, il ritardo nel riconoscimento del peggioramento può avere conseguenze gravi, fino all’arresto cardiaco non monitorato o a eventi neurologici misconosciuti.

Anche la tempistica del trasferimento è spesso gestita male. Si decide di trasferire un paziente in orari inadeguati, come a fine turno, durante la notte o nei fine settimana, quando il personale è ridotto, i medici di guardia sono spesso sovraccarichi e il tempo per valutare adeguatamente il nuovo arrivato è scarso. Il paziente viene accolto in reparto quando non ci sono medici disponibili per una nuova presa in carico, o quando il personale infermieristico è impegnato in altre urgenze. Il risultato è che nessuno esegue una rivalutazione clinica tempestiva, e il paziente resta “in attesa” di essere visitato, trattato o monitorato, a volte per ore.

Non meno critico è l’errore nella trascrizione dei dati clinici durante il trasferimento. Quando il passaggio non è supportato da sistemi digitali integrati, ma si basa su documenti cartacei o comunicazioni verbali, può accadere che vengano perse informazioni essenziali: allergie, terapie in atto, dosaggi corretti, valori recenti di laboratorio, indicazioni chirurgiche o restrizioni specifiche. A volte la cartella viene inviata incompleta, oppure con esami obsoleti o non pertinenti. In altri casi, le informazioni scritte sono illeggibili, contraddittorie, o prive di contesto. Se il paziente non è cosciente, o non è in grado di riferire nulla, la cartella è l’unica voce del suo passato clinico. Se è muta, il rischio aumenta.

Tra le cause sistemiche, ha un ruolo fondamentale anche la scarsa definizione delle responsabilità. Chi è responsabile del paziente nel momento del trasferimento? Chi deve verificare che le informazioni siano corrette? Chi deve rivalutarlo all’arrivo? In molti ospedali, questo passaggio non è chiaramente codificato. Il reparto di origine si sente “sgravato” non appena il paziente lascia fisicamente la stanza. Il reparto di destinazione non considera il paziente “suo” finché non lo ha ufficialmente preso in carico. Nel mezzo, il paziente viaggia in un limbo clinico e organizzativo, dove nessuno si assume pienamente la responsabilità di ciò che accade in quelle fasi cruciali.

Un altro errore non raro è l’uso del trasferimento come soluzione impropria a problemi gestionali. Invece di affrontare un deterioramento clinico, si opta per il trasferimento in un altro reparto. Invece di discutere con i familiari un percorso palliativo, si preferisce inviare il paziente in geriatria. Invece di rivedere una terapia inefficace, si sposta il paziente in un altro ambiente “per osservazione”. Questi trasferimenti nascono non da esigenze cliniche, ma da difficoltà decisionali, da pressioni organizzative o da conflitti tra reparti. Il paziente viene così spostato come un pacco scomodo, senza una reale strategia terapeutica, e spesso senza beneficio per la sua condizione.

Anche l’assenza del paziente nel processo decisionale è un elemento che contribuisce all’errore. Nella maggior parte dei casi, il trasferimento viene deciso senza coinvolgere né il paziente né la famiglia. Si tratta spesso di un’azione eseguita rapidamente, in base a valutazioni cliniche e logistiche. Ma il paziente ha il diritto di essere informato, di sapere perché viene spostato, dove andrà, chi lo seguirà. Quando questo non avviene, si genera disorientamento, ansia, perdita di fiducia. E se il paziente è fragile, anziano, con decadimento cognitivo o barriere linguistiche, lo spostamento può generare confusione acuta, delirium e aggravamento del quadro.

Dal punto di vista medico-legale, gli errori legati al trasferimento sono spesso alla base di contenziosi gravi. Se un paziente peggiora in modo significativo dopo un trasferimento, e si dimostra che il reparto non era idoneo, che non c’erano i mezzi necessari, o che le informazioni non erano state trasmesse correttamente, la responsabilità si distribuisce tra chi ha deciso il trasferimento e chi non ha vigilato dopo. I giudici, nelle sentenze, pongono sempre più attenzione alla documentazione del passaggio: chi ha scritto cosa, a che ora, con quali motivazioni, e con quale comunicazione. Una cartella clinica ben compilata può salvare un medico. Ma una cartella clinica muta o confusa è quasi sempre un’ammissione indiretta di disorganizzazione.

In conclusione, il trasferimento del paziente tra reparti è molto più di un atto logistico. È un momento clinico ad altissima criticità, in cui si decide la sicurezza futura del paziente, la qualità delle cure, la continuità terapeutica. Per renderlo sicuro, servono protocolli precisi, formazione del personale, comunicazione strutturata, strumenti informatici integrati, verifiche multiple e soprattutto una cultura organizzativa centrata sul paziente. Nessun trasferimento dovrebbe avvenire senza un passaggio di consegne formale, senza rivalutazione clinica immediata, senza certezza che il nuovo contesto assistenziale sia adeguato. Perché quando il paziente cambia letto, non deve cambiare la qualità delle cure. Ma solo l’indirizzo della speranza.

Quali conseguenze può avere un trasferimento errato?

  • Peggioramento dello stato clinico del paziente;
  • Somministrazione di terapie errate o controindicate;
  • Ritardo nel riconoscimento di complicanze o eventi avversi;
  • Perdita di chance terapeutiche o prognosi aggravata;
  • Morte evitabile per interruzione della continuità di cura.

Quando si configura la responsabilità medica per trasferimento errato del paziente tra reparti?

Il trasferimento di un paziente da un reparto a un altro all’interno della stessa struttura ospedaliera è un passaggio clinico delicato, che non può essere considerato una mera questione logistica. Si tratta di una fase critica del percorso assistenziale, in cui la continuità delle cure deve essere garantita attraverso una comunicazione efficace, una valutazione aggiornata delle condizioni cliniche e un’attenta pianificazione delle risorse necessarie. Ogni errore in questa fase può avere conseguenze gravi, e in alcuni casi fatali, con diretta rilevanza medico-legale.

Il trasferimento può avvenire per molte ragioni: miglioramento del quadro clinico, necessità di cure più intensive, indisponibilità di posti letto, esigenze organizzative interne o per la prosecuzione del percorso diagnostico-terapeutico. Tuttavia, quando il paziente viene trasferito in un reparto che non ha le competenze, le risorse o l’equipaggiamento per gestire la sua specifica condizione clinica, si configura un errore di collocazione assistenziale. Questo tipo di errore è particolarmente grave se comporta il peggioramento delle condizioni del paziente, un ritardo nel trattamento, l’aggravamento di sintomi preesistenti o la morte.

Uno degli errori più comuni è il trasferimento affrettato di pazienti ancora instabili. Un paziente dimesso da un reparto di terapia intensiva per essere trasferito in medicina generale o geriatria, senza che siano stati adeguatamente stabilizzati i parametri vitali, può rapidamente peggiorare in un contesto dove la risposta clinica non è altrettanto tempestiva. Questo rischio si accentua nei casi di pazienti politraumatizzati, settici, neurologici con rischio di deterioramento, o con dipendenza da supporti tecnologici come ventilazione assistita, monitoraggio emodinamico, pompe infusionali.

La responsabilità si configura anche quando manca una trasmissione completa e accurata delle informazioni cliniche. La cosiddetta “handover” o “passaggio di consegne” deve contenere tutti i dati necessari: diagnosi, evoluzione clinica, trattamenti in corso, allerte, risultati di esami recenti, necessità assistenziali particolari e indicazioni per la sorveglianza. Se il reparto ricevente non è correttamente informato, non potrà pianificare in modo appropriato il trattamento, e la continuità terapeutica si interrompe. Le linee guida internazionali sottolineano che il passaggio verbale deve essere sempre accompagnato da un resoconto scritto dettagliato, e da un momento di confronto diretto tra operatori.

Il trasferimento in reparti non adatti al livello di complessità assistenziale richiesto rappresenta una delle colpe organizzative più frequenti. Se un paziente post-operatorio ad alto rischio viene collocato in una degenza ordinaria priva di monitoraggio continuo, o se un soggetto con gravi patologie infettive viene assegnato a una stanza non isolata, la struttura ospedaliera ha violato i principi fondamentali della gestione del rischio clinico. In questi casi, la responsabilità non ricade solo sul singolo medico, ma sulla direzione sanitaria, sul bed manager, e su chi ha disposto materialmente il trasferimento senza valutare gli standard richiesti.

Anche il momento del trasferimento deve essere adeguatamente pianificato. Effettuare uno spostamento durante la notte, nei giorni festivi o in orari in cui il personale è ridotto aumenta esponenzialmente il rischio di errore, ritardi nelle cure o mancate rilevazioni di parametri alterati. Se il trasferimento non è stato preceduto da una rivalutazione clinica aggiornata e da un briefing con il team ricevente, il rischio di eventi avversi cresce notevolmente. Il principio della “safe discharge” deve valere anche per i trasferimenti interni.

La responsabilità medico-legale si aggrava nei casi in cui il trasferimento è stato motivato esclusivamente da ragioni organizzative, senza tenere conto delle reali esigenze del paziente. Se un soggetto in condizioni critiche viene spostato per liberare un letto in pronto soccorso o per esigenze logistiche legate alla gestione dei flussi, e ciò determina un danno diretto alla sua salute, la decisione è giudicata illegittima. La priorità deve sempre essere il benessere clinico del paziente, mai la logica gestionale.

Il paziente e la famiglia hanno il diritto di essere informati del trasferimento, della sua motivazione e della nuova collocazione assistenziale. La mancanza di comunicazione o il mancato consenso informato nei casi in cui il trasferimento comporta un cambio significativo di livello assistenziale può costituire una violazione del diritto all’autodeterminazione. Questo vale in particolare per pazienti fragili, affetti da demenze, minori, o soggetti sottoposti a misure di protezione giuridica.

La documentazione è un elemento chiave nella valutazione della responsabilità. Ogni trasferimento deve essere accompagnato da una nota clinica in cui sia chiaramente esplicitato: il motivo del trasferimento, lo stato clinico al momento della decisione, le terapie in corso, le raccomandazioni per la presa in carico e l’identificazione dei professionisti coinvolti. Se tale documentazione è assente, carente o contraddittoria, si presume che il trasferimento non sia stato pianificato correttamente.

La giurisprudenza italiana ha più volte sottolineato che l’errore nel trasferimento intraospedaliero rappresenta una forma di responsabilità sanitaria piena, a volte equiparabile a un’omissione terapeutica. Sentenze significative si sono pronunciate in caso di pazienti deceduti dopo essere stati collocati in reparti non idonei, di deterioramenti neurologici non riconosciuti tempestivamente a causa di mancata sorveglianza, o di errori nella somministrazione farmacologica per scarsa conoscenza del caso clinico da parte del personale ricevente.

La responsabilità può essere condivisa. Il medico che dispone il trasferimento senza una valutazione completa, l’équipe che non registra il passaggio clinico, il reparto che accetta il paziente senza disporre dei mezzi per assisterlo, e la direzione sanitaria che non ha definito protocolli chiari sono tutti potenzialmente coinvolti. Anche il personale infermieristico può essere chiamato a rispondere se non segnala peggioramenti clinici o anomalie durante il trasporto.

Prevenire errori nei trasferimenti intraospedalieri richiede l’adozione di protocolli strutturati, checklist specifiche, sistemi informatizzati di passaggio dati, e cultura della comunicazione tra reparti. Ogni ospedale dovrebbe definire standard minimi per la presa in carico, procedure per il monitoraggio post-trasferimento, e criteri chiari per decidere quando un trasferimento è clinicamente accettabile.

In conclusione, la responsabilità medica per errore nel trasferimento di un paziente tra reparti si configura quando viene compromessa la continuità dell’assistenza, vengono ignorate le condizioni cliniche, si effettua uno spostamento senza pianificazione o senza garantire le risorse necessarie, e da tale condotta deriva un danno. È una responsabilità condivisa, che va oltre il singolo gesto clinico, perché coinvolge l’organizzazione, la comunicazione, la gestione del rischio e la consapevolezza del ruolo.

Ogni trasferimento è una transizione vulnerabile. Ogni passaggio senza informazioni è una cura che si spezza. Ogni errore di collocazione è una scelta che può costare caro. Perché tra il letto che si lascia e quello che si raggiunge, c’è in mezzo la sicurezza del paziente. E quella, in medicina, non può mai essere trasferita a cuor leggero.

Quali leggi regolano la responsabilità?

  • Legge Gelli-Bianco (L. 24/2017) sulla sicurezza delle cure;
  • Art. 2043 c.c., responsabilità extracontrattuale per fatto illecito;
  • Art. 2236 c.c., responsabilità professionale tecnica;
  • Art. 589 e 590 c.p., lesioni o omicidio colposo da condotta sanitaria inappropriata.

Quali risarcimenti sono stati riconosciuti?

  • Paziente trasferito da rianimazione a medicina generale senza monitoraggio, deceduto per arresto: risarcimento di 1.800.000 euro agli eredi;
  • Trasferimento con omissione delle terapie in atto, con danni neurologici permanenti: risarcimento di 1.400.000 euro;
  • Paziente fragile trasferito in reparto non idoneo per errori nella documentazione: risarcimento di 1.250.000 euro.

A chi rivolgersi per ottenere giustizia?

Un errore nella gestione del trasferimento tra reparti richiede un’azione legale precisa e documentata. È indispensabile affidarsi a avvocati con competenze specialistiche in contenziosi per discontinuità assistenziale. Il team legale potrà:

  • Verificare l’intera documentazione di trasferimento e le registrazioni cliniche;
  • Dimostrare l’assenza o la contraddittorietà delle comunicazioni tra reparti;
  • Coinvolgere esperti in medicina legale, gestione del rischio clinico e medicina d’urgenza;
  • Costruire una strategia giudiziaria fondata e orientata al risarcimento integrale.

Gli Avvocati di Risarcimenti Danni Malasanità collaborano con professionisti esperti in organizzazione ospedaliera, sicurezza delle cure e diritto sanitario, offrendo una tutela completa, rigorosa e tecnica per ogni fase del procedimento.

La continuità delle cure è un diritto fondamentale del paziente. Quando viene interrotta per errori organizzativi o clinici, il risarcimento è il primo passo per ristabilire la dignità e la giustizia.

Qui di seguito tutti i riferimenti del nostro Studio Legale specializzato in risarcimento danni da errori medici:

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