La crisi anafilattica è una reazione allergica acuta e potenzialmente fatale che può manifestarsi in seguito all’esposizione a sostanze come farmaci, alimenti, punture d’insetto o agenti diagnostici. Si tratta di una vera e propria emergenza medica che richiede un intervento tempestivo, coordinato e corretto. L’adrenalina intramuscolo rappresenta il trattamento di prima scelta, da somministrare il prima possibile per evitare complicanze gravi o il decesso del paziente.
Quando la crisi anafilattica non viene gestita adeguatamente, si verifica una responsabilità medica, soprattutto se vi è ritardo nella somministrazione dei farmaci salvavita, errata interpretazione dei sintomi o carenza di farmaci d’emergenza nei reparti sanitari. Anche la mancata identificazione del rischio allergico pregresso o la somministrazione di sostanze note come allergeni costituisce una grave negligenza.

La tempestività è fondamentale: bastano pochi minuti per evitare danni neurologici irreversibili, arresto respiratorio e morte. Ogni struttura sanitaria è tenuta a disporre di protocolli di intervento, farmaci salvavita e personale formato nella gestione dell’anafilassi. L’inadempienza a questi doveri può portare a gravi conseguenze legali e risarcitorie.
In questo articolo vedremo quali sono gli errori più gravi nella gestione delle crisi anafilattiche, quali responsabilità sanitarie si configurano, le normative in vigore fino al 2025, esempi reali di risarcimenti ottenuti e le competenze degli Avvocati di Risarcimenti Danni Malasanità, specializzati nei casi di emergenze mal gestite.
Ma andiamo ora ad approfondire con gli avvocati di Risarcimenti Danni Malasanità.
Quali sono i segnali clinici della crisi anafilattica?
- Prurito, orticaria diffusa, gonfiore del volto o delle labbra;
- Difficoltà respiratorie, senso di costrizione toracica, dispnea;
- Tachicardia, ipotensione, collasso circolatorio;
- Confusione mentale, perdita di coscienza;
- Vomito, crampi addominali, diarrea improvvisa.
Quali sono le cause più frequenti dell’inadeguata gestione delle crisi anafilattiche?
In una manciata di minuti, il corpo può trasformarsi in un campo di battaglia. La pressione precipita, la gola si chiude, il cuore accelera, la pelle si copre di orticaria, e l’aria diventa inaccessibile. È una crisi anafilattica, una delle emergenze mediche più fulminanti e potenzialmente letali, che non ammette ritardi, incertezze o indecisioni. Eppure, ogni anno, anche nei contesti sanitari più avanzati, si verificano errori gravi nella gestione di queste reazioni, errori che portano a esiti gravi o addirittura fatali. Errori non dovuti alla mancanza di strumenti o conoscenze, ma alla sottovalutazione, alla disorganizzazione e all’assenza di protocolli realmente applicati.
Una delle prime e più pericolose cause di errore è il mancato riconoscimento tempestivo della reazione anafilattica. I sintomi iniziali – prurito, rossore, senso di calore, lieve difficoltà respiratoria – possono sembrare banali, simili a una reazione allergica comune. Invece, rappresentano il primo campanello d’allarme di una catena immunitaria esplosiva che può peggiorare in pochi istanti. Troppo spesso questi segnali vengono sottovalutati, trattati con un antistaminico o un cortisonico per via orale, con l’illusione che tutto rientrerà. Invece, se non si interviene con l’adrenalina nelle prime fasi, la finestra terapeutica si chiude rapidamente. E quando compaiono i sintomi respiratori severi, lo shock ipovolemico o la perdita di coscienza, può essere già troppo tardi.
Un errore altrettanto diffuso è la mancata somministrazione tempestiva dell’adrenalina. Ancora oggi, in molti contesti, si preferisce iniziare con cortisonici o antistaminici, che però non agiscono abbastanza in fretta per bloccare il collasso vascolare e la broncocostrizione. L’adrenalina intramuscolare, invece, è l’unico farmaco salvavita che agisce rapidamente sul sistema cardiovascolare e respiratorio. Eppure, non viene somministrata o viene somministrata troppo tardi, spesso per paura degli effetti collaterali, come tachicardia o ipertensione. Una paura infondata, perché nelle crisi anafilattiche, il rischio maggiore non è l’adrenalina: è non usarla.
Un altro errore ricorrente riguarda la via di somministrazione e il dosaggio dell’adrenalina. In fase di emergenza, può accadere che il farmaco venga iniettato per via sottocutanea, anziché intramuscolare, riducendo l’efficacia e rallentando l’assorbimento. Oppure che venga usata una dose errata, soprattutto nei bambini, dove il calcolo basato sul peso corporeo deve essere preciso. Anche la scelta del sito di iniezione è fondamentale: il muscolo vasto laterale della coscia è il più indicato, ma spesso si improvvisa con il primo punto disponibile. E se l’adrenalina non è pronta, se si perde tempo a cercarla, se non si trova una siringa, la crisi avanza senza ostacoli.
In molti ambienti sanitari e scolastici, l’adrenalina autoiniettabile non è disponibile, oppure è presente ma nessuno sa dove si trova. Accade in ambulatori, centri vaccinali, palestre, scuole, farmacie. In situazioni dove la probabilità di una reazione allergica esiste e dovrebbe essere prevista. Anche quando presente, il personale può non essere addestrato a usarla, oppure può non sentirsi autorizzato ad agire. Nel frattempo, il paziente peggiora. In altri casi, l’unico EpiPen disponibile è scaduto, o non funziona. L’impreparazione organizzativa si somma al panico individuale, e si perde tempo proprio quando il tempo vale più dell’oro.
La gestione della crisi, però, non finisce con la somministrazione dell’adrenalina. Un altro errore frequente è non monitorare adeguatamente il paziente dopo il primo trattamento. Anche se i sintomi sembrano regredire, la crisi può recidivare. È la cosiddetta anafilassi bifasica, che si manifesta anche dopo ore, con un secondo picco di gravità. Dimettere il paziente troppo presto, senza osservazione per almeno 4–6 ore (o 24 nei casi gravi), è una pratica rischiosa. Se non ci sono controlli della pressione, della saturazione, della funzione respiratoria, e se non si somministrano terapie di supporto (fluidi, ossigeno, broncodilatatori), la fase successiva della crisi può essere ancora più pericolosa della prima.
Un altro elemento critico è la mancata individuazione della causa scatenante. Dopo aver trattato la crisi acuta, non si approfondisce l’anamnesi, non si invia il paziente dall’allergologo, non si eseguono i test per identificare l’allergene. Il paziente viene dimesso senza una diagnosi, senza sapere cosa ha provocato la reazione, e senza strumenti di prevenzione per il futuro. Così, alla prossima esposizione, la crisi si ripete. Spesso più violenta, perché l’organismo, sensibilizzato, reagisce più intensamente. Prevenire l’anafilassi è possibile, ma solo se la prima crisi viene analizzata in modo corretto e completo.
Nel mondo pediatrico, l’errore si moltiplica. Bambini con allergie note vengono affidati a scuole, centri estivi, mense o strutture sanitarie senza alcuna segnalazione preventiva. Nessuno ha istruzioni chiare su cosa fare in caso di reazione. Le maestre non hanno la formazione per riconoscere i segni precoci. I genitori non forniscono il piano terapeutico o l’autoiniettore. Quando il bambino inizia a stare male, si cerca di chiamare i genitori, il medico, il 118. Ma intanto la crisi si sviluppa. Ogni anno, casi tragici di bambini deceduti per anafilassi alimentare ci ricordano quanto sia pericoloso lasciare che la gestione di un rischio noto venga affidata al caso.
Dal punto di vista legale, l’errore nella gestione dell’anafilassi è tra i più gravi e inescusabili. La reazione allergica acuta è un evento noto, previsto, gestibile con pochi e semplici strumenti. Le linee guida internazionali sono chiare, i protocolli esistono, i farmaci salvavita sono standardizzati. Se un paziente muore o riporta danni permanenti a causa di una crisi anafilattica mal gestita, la responsabilità professionale è pressoché certa. In particolare, quando l’adrenalina non viene somministrata, oppure lo è troppo tardi, o con modalità non adeguate, le sentenze sono molto severe. Perché il danno è considerato evitabile, e l’omissione terapeutica non è giustificabile.
In conclusione, la crisi anafilattica è una corsa contro il tempo. Non basta riconoscerla: bisogna agire. Non basta avere i farmaci: bisogna saperli usare. Non basta avere protocolli scritti: bisogna averli interiorizzati. È uno degli esempi più chiari di quanto la sicurezza del paziente dipenda dalla prontezza del sistema, dalla formazione degli operatori, dalla cultura della prevenzione. Ogni minuto che passa senza adrenalina può segnare la vita – o la morte – di una persona. E ogni volta che si gestisce una reazione allergica come un fastidio passeggero, si espone il paziente a un rischio assoluto. In medicina, pochi errori sono così prevedibili, riconoscibili e prevenibili come quelli nella gestione dell’anafilassi. Ed è proprio per questo che non devono accadere.
Quando si configura la responsabilità medica per inadeguata gestione delle crisi anafilattiche?
Le reazioni anafilattiche rappresentano una delle emergenze mediche più temibili per la loro imprevedibilità, rapidità di evoluzione e alto rischio di esito fatale se non trattate tempestivamente e correttamente. Si tratta di una risposta immunitaria acuta, sistemica, che può essere scatenata da farmaci, alimenti, punture di insetti, lattice o altri allergeni. La responsabilità medica per inadeguata gestione di una crisi anafilattica si configura ogniqualvolta il professionista non interviene in modo rapido, appropriato e secondo le linee guida internazionali, o omette atti diagnostico-terapeutici essenziali, con conseguente peggioramento clinico o decesso del paziente.
L’anafilassi si manifesta con sintomi che possono comparire in pochi minuti: orticaria, angioedema, senso di oppressione toracica, difficoltà respiratoria, abbassamento della pressione arteriosa, tachicardia, nausea, vomito, diarrea, senso di morte imminente, perdita di coscienza. Il tempo è un fattore cruciale: la mortalità è direttamente correlata alla rapidità di insorgenza e alla prontezza della risposta terapeutica. La letteratura scientifica dimostra che i casi più gravi si verificano entro 5-15 minuti dall’esposizione all’allergene, in particolare se il trigger è un farmaco somministrato per via endovenosa.
L’adrenalina intramuscolare è il trattamento di prima linea, imprescindibile e insostituibile. Qualsiasi ritardo nella somministrazione di adrenalina, o la decisione di trattare inizialmente con antistaminici, corticosteroidi o broncodilatatori, rappresenta un errore clinico grave. Le linee guida internazionali (EAACI, WAO, NICE) raccomandano l’immediata somministrazione di 0,3–0,5 mg di adrenalina IM nel muscolo anterolaterale della coscia alla prima comparsa dei sintomi compatibili con anafilassi. Ripetere la dose a distanza di 5-15 minuti se necessario, mentre si attivano le manovre di supporto vitale e l’assistenza avanzata.
Molti casi di morte per anafilassi sono legati al mancato riconoscimento tempestivo della condizione. Se un paziente lamenta prurito, difficoltà respiratoria, senso di costrizione, ma non presenta ancora ipotensione o segni cutanei evidenti, il medico potrebbe sottovalutare l’evento, confondendolo con una reazione ansiosa o un episodio isolato di orticaria. Questo è uno degli errori più pericolosi, poiché ritarda l’unico trattamento salvavita. L’anafilassi può evolvere in shock in pochi minuti, e ogni esitazione può risultare fatale.
Altro errore critico è la somministrazione di adrenalina per via non adeguata. L’iniezione sottocutanea è inefficace in fase acuta. L’infusione endovenosa è indicata solo in contesto di monitoraggio intensivo, in caso di arresto cardiaco o shock refrattario, e comporta rischi significativi. Se il medico non conosce o non rispetta le vie e i dosaggi raccomandati, l’efficacia del trattamento può essere compromessa, e la condotta ritenuta negligente.
La gestione della crisi non si esaurisce con la somministrazione iniziale dell’adrenalina. È necessario somministrare ossigeno ad alto flusso, posizionare il paziente in posizione supina con gli arti inferiori sollevati (se cosciente), garantire accesso venoso e infondere liquidi rapidi in caso di ipotensione, monitorare i parametri vitali, e trasferire il paziente in area critica per il monitoraggio di almeno 6-12 ore. Reazioni bifasiche possono verificarsi a distanza di ore dalla prima risoluzione apparente, rendendo essenziale l’osservazione prolungata.
La mancata prescrizione dell’adrenalina autoiniettabile alla dimissione costituisce un’omissione con rilievo medico-legale. Il paziente sopravvissuto a una crisi anafilattica deve essere informato del rischio di recidiva, istruito all’uso dell’adrenalina autoiniettabile (come Epipen o Jext), e indirizzato a visita allergologica per identificazione del trigger e stesura di un piano d’azione personalizzato. Se tutto ciò non viene fatto, la responsabilità è pienamente configurabile, anche in assenza di un nuovo evento clinico.
Il consenso informato, anche in contesto d’urgenza, deve essere acquisito nella misura in cui è possibile. Dopo la stabilizzazione, al paziente (o ai familiari, se in stato di incoscienza) va spiegata la natura della crisi, i trattamenti eseguiti, le raccomandazioni per il futuro e i possibili effetti collaterali della terapia. Omettere tale comunicazione è una mancanza deontologica, che compromette la qualità della relazione medico-paziente e può avere implicazioni legali.
Dal punto di vista giuridico, la responsabilità si configura ogni volta che si dimostra un nesso causale tra l’errore (ritardo nella diagnosi, somministrazione errata, mancato monitoraggio, omissione della terapia) e il peggioramento clinico o il decesso del paziente. Le sentenze italiane hanno riconosciuto la colpa medica in numerosi casi di anafilassi non gestita secondo le raccomandazioni. In particolare, si sottolinea che la rarità dell’evento non giustifica la sua sottovalutazione, e che ogni medico deve essere pronto a riconoscerla e trattarla senza esitazione.
La documentazione clinica ha valore centrale. Devono essere riportati l’orario preciso di comparsa dei sintomi, le terapie somministrate con dosaggio e via, la risposta clinica, il monitoraggio dei parametri vitali, l’esito della crisi, le decisioni successive (ricovero, dimissione, consulenza allergologica), e le istruzioni fornite al paziente. In assenza di una tracciabilità completa, la condotta sarà considerata priva dei requisiti di diligenza richiesti.
La struttura sanitaria ha l’obbligo di garantire la disponibilità immediata dei farmaci salvavita. In ogni reparto, ambulatorio, sala operatoria e pronto soccorso deve essere presente adrenalina in fiala, siringhe, aghi, ossigeno, defibrillatore e presidi di emergenza. Se un evento anafilattico si aggrava perché la strumentazione era assente o inaccessibile, la responsabilità si estende alla direzione sanitaria per carenza organizzativa.
La formazione continua è l’unica vera prevenzione. Ogni medico e ogni infermiere deve saper riconoscere e trattare una crisi anafilattica in ogni ambiente sanitario, anche non specialistico. La diffusione di protocolli interni, la simulazione di scenari di emergenza e l’aggiornamento sulle linee guida sono strumenti imprescindibili per evitare errori inaccettabili.
In conclusione, la responsabilità medica per inadeguata gestione della crisi anafilattica si configura quando il professionista non riconosce tempestivamente la reazione, ritarda la somministrazione dell’adrenalina, usa dosaggi o vie sbagliate, omette il monitoraggio, non prescrive l’autoiniettore, o non fornisce adeguate istruzioni post-evento. È una responsabilità che nasce da negligenza, da imperizia, o da superficialità, e che può costare la vita in pochi minuti.
Ogni secondo perso è un’occasione mancata. Ogni fiala di adrenalina non somministrata è un battito che si spegne. Ogni paziente non preparato è una nuova emergenza in attesa. Perché l’anafilassi non dà seconde possibilità. E chi ha il dovere di curare, ha anche il dovere di sapere — e agire — senza esitazione.
Quali norme regolano il risarcimento?
- Legge Gelli-Bianco (L. 24/2017) sulla responsabilità sanitaria;
- Art. 2043 c.c., danno ingiusto per fatto illecito;
- Art. 2236 c.c., responsabilità del professionista per colpa grave;
- Art. 589 e 590 c.p., lesioni e omicidio colposo per negligenza sanitaria;
- Linee guida del Ministero della Salute e raccomandazioni SIAIC (Società Italiana di Allergologia) aggiornate al 2025.
Quali risarcimenti sono stati riconosciuti in Italia?
- Decesso per shock anafilattico non trattato in tempo dopo somministrazione antibiotico: risarcimento agli eredi di 2.000.000 euro;
- Danno neurologico permanente in paziente con allergia nota, trattato in ritardo: risarcimento di 1.700.000 euro;
- Somministrazione errata di anestetico locale in paziente allergico: risarcimento di 1.450.000 euro.
A chi rivolgersi per ottenere giustizia?
In caso di inadeguata gestione di una crisi anafilattica, è fondamentale rivolgersi a avvocati con competenze specifiche in responsabilità medica per emergenze cliniche. Una tutela efficace prevede:
- Analisi completa della cartella clinica e del registro dei farmaci;
- Verifica della presenza di protocolli di emergenza e formazione del personale;
- Collaborazione con allergologi, rianimatori, medici legali e farmacologi clinici;
- Dimostrazione del nesso causale tra condotta inadeguata e danno subito;
- Azione risarcitoria in sede civile o penale, con richiesta di danni biologici, patrimoniali e morali.
Gli Avvocati di Risarcimenti Danni Malasanità operano insieme a esperti di medicina d’urgenza, immunologia clinica e responsabilità sanitaria, offrendo una difesa tecnica, documentata e orientata alla piena tutela del paziente danneggiato.
Ogni secondo conta quando si tratta di anafilassi. Ritardi, errori o disorganizzazione possono essere fatali. La legge è chiara: chi subisce un danno evitabile ha diritto a ottenere giustizia.
Qui di seguito tutti i riferimenti del nostro Studio Legale specializzato in risarcimento danni da errori medici: